I cenni inediti qui presentati sono estratti dallo studio, frutto di una lunga campagna di ricerche e rilievi, effettuato in collaborazione con l’Associazione Culturale “Ave Gratia Plena” di Limatola.
La prima attestazione documentaria del castello di Limatola è nella bolla di Sennete (1113): “In castro Limatule et territorio eius ecclesiam S. Nicolai, quae est infra Castellum”. La mancata citazione nel Catalogus Baronum (1150-68) lascia supporre che Limatola fosse “in capite de domino rege”. Tra i feudi più importanti di Terra di Lavoro furono quelli assegnati a Roberto conte di Alife (con Caiazzo e S. Agata de’ Goti) e a Roberto, conte di Caserta, Morrone, Melizzano, Solopaca e Telese. Limatola, quindi, si trovava sul confine del feudo casertano, a presidio della valle del Volturno. La parte risalente al primitivo insediamento è ancora oggi ben conservata: si tratta dell’imponente mastio a pianta rettangolare, a due livelli, voltati a botte. In quello inferiore, dal ‘700 destinato a cappella, è un allineamento di pilastri, che potrebbe identificarsi in setto longitudinale, tipico delle strutture normanne. Il mastio è anche l’unico sito del castello dal quale si traguarda il castello di Morrone. Ciò chiarisce la sua straordinaria importanza strategica. La struttura architettonica e il paramento murario in conci di tufo perfettamente squadrati tradiscono tipologie e tecniche impiegate in alcune strutture militari datate alla seconda metà del XII secolo (Carinola, Casertavecchia). Nel 1278, re Carlo I d'Angiò ordinò lavori al castello: “…facias castrum ipsum de pecunia Curie” (Cancelleria Angioina, reg. 28, fol. 2). Contigui al mastio (al fine di ampiarlo), sono lavori ancora riconoscibili, costituiti da ambienti (voltati a crociere poggianti su pilastri). Anch’essi sono caratterizzati da paramenti esterni in conci di tufo squadrati, ma di diverse dimensioni rispetto a quelle del mastio; come differenti sono il tufo utilizzato e la dimensione dei fori d’impalcato. Le maestranze angioine padroneggiarono a pieno le tecniche costruttive. Ne è prova l’ideazione dell’ambiente interposto tra i nuovi volumi e il mastio: esso risolve il problema statico di scarico delle volte gotiche senza caricare ulteriormente le preesistenti pareti normanne. Al termine dei lavori, l’aspetto dové ricordare più una dimora cittadina che un presidio militare. E, infatti, lo “Statuto sulla riparazione dei castelli” (1278) lo cita come “Palacium Limatule”. La “chiesa di S. Nicola”, allora parrocchiale del borgo, attualmente al livello inferiore del mastio, non era compresa nelle strutture descritte. Probabilmente, fino al terremoto del 1688, era dove oggi sorge la cosiddetta foresteria (che insiste sulla cinta muraria più esterna). L’ipotesi è fondata sul ritrovamento di un muro, completamente isolato per tipologia, orientamento e funzione, e di un fornice archiacuto in tufo. La traslazione nell’attuale ubicazione è suggerita dai danni causati dallo smontaggio e dal riassemblaggio, presenti sui conci dell’archivolto del portale, resecati ed adattati alla nuova posizione.
Tra le opere d’arte conservate nel castello vi sono molti elementi rinascimentali e del primo barocco, ma è opportuno focalizzare l’interesse sui cicli pittorici. Essi risalgono ad almeno tre fasi di interventi. La prima si chiuse nel decennio successivo al violento terremoto di Cerreto (1688), con l’edificazione del piano superiore della foresteria e la decorazione di sovrapporte, sovrafinestre e cornici dipinte. Il ciclo delle sovrapporte illustra episodi tratti dalla “Gerusalemme Liberata”: “Olindo e Sofronia salvati da Clorinda” (canto II), “Senàpo, regina di Etiopia, madre di Clorinda” (canto XII), “Agnizione di Clorinda”, (canto XII), “Carlo di Danimarca e Ubaldo che si imbarcano alla ricerca di Rinaldo” (canto XV). Il ciclo fu dipinto da un artista pienamente inserito nell’ambito napoletano di fine ‘600, consapevole dei modi e delle invenzioni di Luca Giordano e della sua scuola (Paolo de Matteis). Le sovrapporte si susseguono rispettando la cronologia della narrazione del Tasso. Probabile committente del ciclo fu Francesco Gambacorta, ultimo duca di Limatola (?, 1673 ? – Napoli, 31/3/1725), sposo di Aurelia (S. Martino, 1683 – Napoli, 14/4/1719) degli Este di S. Martino al Rio (ramo collaterale dei Duchi di Reggio e Modena ma onorato come famiglia sovrana). Forse le opere furono realizzate come omaggio nuziale alla moglie, la cui famiglia protesse Tasso durante il soggiorno ferrarese. Un secondo imponente ciclo decorativo, oggi in resti, sopravvive negli ambienti al secondo livello del mastio. Ornò completamente la volta a botte raffigurando un’allegoria della fede, leggibile solo nell’iconografia per le maldestre ridipinture recenti. Di grande interesse i pochi particolari ancora originali: due personaggi togati, acefali, un uomo con un fascio di spighe di grano, ai cui piedi è un puttino. I dipinti denotano un riferimento all’attività della napoletana dell’inizio del 1700, pur in una produzione provinciale e leggermente attardata. Le restanti sale dell’appartamento ducale ebbero le volte completamente affrescate a quadrature architettoniche illusionistiche, di grande effetto cromatico e prospettico. I lavori probabilmente sono da attribuire al periodo del possesso feudale dei Mastelloni (Giovanni dal 1733, e Maddalena 1751-1760). Di grande bellezza la saletta cosiddetta “dell’alcova”, che conserva anche una boiserie indorata ad arco ribassato. All’ultima fase di interventi (ultimo quarto del ‘700) è datata la piccola sala detta “studiolo”, completamente decorata a grottesche, nei cui girali sono raffigurazioni in monocromo di paesaggi e rovine.
un ringraziamento per la fotografia a Franco Spinelli
ma è possibile visitare il castello? è aperto al pubblico?
RispondiEliminaun cittadino qualunque
CERTO CI PUO ANDARE CHIUNQUE IN QUALSIASI MOMENTO BASTA CHIEDERE AL PERSONALE DELLA STRUTTURA... VIVA IL CASTELLO DI LIMATOLA RELAIS CHATEAU!
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